NPL, cartolarizzazione e legittimazione processuale della SPV

DA Antonio Donvito11 marzo 2020

I non performing loans, c.d. NPL, sono i crediti deteriorati delle banche verso i clienti, che, per il peggioramento della loro situazione economica, non sono più in grado di pagare.

Nel passato le banche effettuavano direttamente le attività di recupero tramite gli uffici legali o le delegavano  a società di recupero[1]; da qualche anno, spinte dalla necessità di ridurre l’incidenza degli NPL sui bilanci e pressate dagli organi di vigilanza, cedono i crediti in sofferenza “in blocco[2] a terzi o collocano i crediti sul mercato attraverso operazioni di cartolarizzazione[3].

Quanto agli effetti giuridici delle cessioni, secondo la prevalente giurisprudenza di merito[4], la cessione dei crediti “in blocco”, sia ai sensi dell’art. 58 TUB (D. lgs. n. 385/1993), che nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione (L. n. 130 del 1999), determina una successione a titolo particolare in capo al cessionario di tutti i rapporti giuridici facenti capo al cedente, donde la possibilità per il debitore ceduto di opporre al cessionario le eccezioni relative al rapporto sottostante.

Più precisamente, qualsiasi cessione dei crediti “in blocco” sarebbe disciplinata dall’art. 58 TUB con conseguente applicazione dell’orientamento della Cassazione secondo cui la norma, prevedendo il trasferimento dei crediti al cessionario in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa, deroga all’art. 2560 c.c. a tutela della posizione del cedente (Cass. civ., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18258).

Quando al debitore, nonostante sia estraneo alla cessione del credito, è un principio consolidato che la sua posizione giuridica non possa venirne pregiudicata e possa, quindi, «opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori e posteriori alla cessione, purché anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto» (Cass. civ., sez. III, sent. 17 gennaio 2001, n. 575; Id., sez. V, ord. 20 aprile 2018, n. 9842).

Se ciò è indubbiamente vero per i cessionari dei crediti ex art. 58 TUB, secondo una recente decisione della Cassazione il principio non vale per le società veicolo delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti, c.d. SPV (Cass. civ., sez. III, sent. 30 agosto 2019, n. 21843).   

È la natura e la ratio dell’operazione di cartolarizzazione che impedisce l’estensione ad essa dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi sull’art. 58 TUB.

Rammenta la Cassazione che i crediti oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un vero e proprio “patrimonio separato”, sia rispetto a quello della SPV, che rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione (art. 3, comma 2, L. n. 130/1999). 

È un patrimonio a destinazione vincolata esclusivamente a favore del soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti ed il pagamento dei costi dell’operazione

(art. 1, comma 1, lett. b). L. n. 130, cit.).

In questo quadro, consentire al debitore ceduto di opporre in compensazione al cessionario controcrediti vantati verso il cedente, nascenti da vicende relative al rapporto intercorso, ignoti alla SPV al momento della cessione e non accertati giudizialmente o consentire di proporre domande riconvenzionali, anche di ripetizione, significherebbe incidere su quel patrimonio separato a destinazione vincolata, che rappresenta l’unica garanzia dei diritti dei risparmiatori/investitori che hanno sottoscritto i titoli della SPV.

I possessori dei titoli emessi dalla SPV possono, infatti, subire solo il rischio derivante dalla mancata riscossione dei crediti cartolarizzati, ma non quello che sul patrimonio alimentato dai recuperi dei crediti possano soddisfarsi altri creditori.

Questa conclusione, a salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata”, trova riscontro nella legge n. 130 del 1999 laddove stabilisce che, dalla data della pubblicazione della notizia della cessione sulla Gazzetta Ufficiale (o dalla data certa dell’avvenuto pagamento), sui crediti acquistati dalla SPV e sulle somme corrisposte dai debitori non è esercitabile la compensazione con i crediti dei debitori verso il cedente sorti dopo la data della cessione (art. 4, comma 2, L. n. 130 cit.).

Concludendo, la decisione della Cassazione n. 21843/19 risponde alla questione della titolarità della SPV del lato passivo del rapporto obbligatorio del credito cartolarizzato[5]: in forza di questa decisione la SPV può contestare al debitore il proprio difetto di legittimazione passiva quanto alle domande riconvenzionali proposte contro di essa o l’inammissibilità della compensazione dei crediti del debitore verso il cedente.


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[1] Si tratta di società titolari di licenza per il recupero stragiudiziale dei crediti ai sensi dell’art. 115 TUPS.

[2] Si possono cedere i crediti singolarmente ai sensi degli artt. 1260 e segg. c.c. o in blocco ai sensi dell’art. 58, TUB (D.lgs. n. 385/1993): in questa seconda ipotesi la cessione riguarda, oltre al credito, l’intero rapporto giuridico che lo ha generato.

[3] La L. n. 130 del 1999 ha introdotto una disciplina generale ed organica in materia di operazioni di cartolarizzazione dei crediti, che si realizzano attraverso società appositamente costituite (cd. società veicolo o special purpose vehicle), che emettono titoli destinati alla circolazione per finanziare l’acquisto dei crediti del cedente (c.d. originator) e che, successivamente, procedono al recupero dei crediti acquistati e, con la provvista conseguita, rimborsano i titoli ai risparmiatori/investitori che li hanno acquistati. 

[4] Trib. Milano, 21.1.2016, Trib. Pavia, 12.10.2016, Trib. Napoli Nord, 10.11.2016, Trib. Rieti, 18.4.2017, Trib. Catania, 19.3.2018.

[5] La “legitimatio ad causam” di una parte nel processo, oltre ad essere rilevabile d’ufficio dal giudice, si valuta alla stregua della prospettazione che se ne faccia nella domanda (v. Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2156). 

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