Alessandro Chieffi
Ricerca del “cavaliere bianco” e confine con le misure difensive: note minime
Il presente scritto riproduce la relazione svolta nell’ambito del Webinar “Problemi e questioni in materia di opa” organizzato da AMF Italia il 16 dicembre 2024. La traccia è stata rielaborata e arricchita di una sezione dedicata alla responsabilità degli amministratori.
Premessa
Ringrazio AMF Italia e il Prof. Ventoruzzo per avermi coinvolto in questa interessante iniziativa.
Per una singolare coincidenza, proprio oggi ricorre il trentennale di un evento storico per il mercato finanziario italiano: esattamente il 16 dicembre 1994 la stampa finanziaria riportava la notizia del lancio della prima opa concorrente italiana, quella promossa da Cariplo S.p.A., insieme ad altri tre soggetti, sulle azioni di Credito Romagnolo S.p.A. (RoLo), già oggetto di un’opa ostile da parte di Credito Italiano S.p.A..
La vicenda ebbe esiti sfortunati per i cavalieri bianchi, anche a causa di una regola scritta male e interpretata in modo formalistico.
La legge 149/1992 prevedeva che, in caso di offerta concorrente, il primo offerente potesse aumentare il corrispettivo purché offrisse di acquistare lo stesso quantitativo richiesto dal contro offerente, se maggiore di quello della prima offerta.
Non era invece espressamente previsto – ma nemmeno espressamente escluso – che a seguito del rilancio effettuato dal primo offerente anche il contro offerente potesse a sua volta aumentare il prezzo.
Fu ovviamente sottoposto alla Consob un quesito, corredato da un dotto parere di Portale e Dolmetta, che fu poi pubblicato su Banca e Borsa con un titolo mestamente calvineggiante[1].
Consob richiese, tramite la Presidenza del Consiglio, un parere del Consiglio di Stato. Il parere fu sfavorevole ai cavalieri bianchi: con argomenti di natura prevalentemente formale, il Consiglio di Stato decise che il rilancio del contro offerente non fosse consentito dalla legge.
Nella sostanza, si ritenne che l’interesse degli azionisti a ottenere il maggior prezzo dovesse essere sacrificato in nome di una fantomatica esigenza di evitare turbamenti di mercato[2]. Ai cavalieri bianchi non fu, dunque consentito di aumentare il prezzo dopo il rilancio annunciato dal primo offerente, la cui offerta si concluse positivamente.
L’anomala asta tanto temuta dal Consiglio di Stato è oggi disciplinata dall’art. 44 del Regolamento Emittenti, al quale il t.u.f. ha saggiamente delegato l’emanazione di disposizioni di attuazione in tema di offerte concorrenti, “senza limitare il numero dei rilanci”[3].
La ricerca del “cavaliere bianco”: ratio e ambito di applicazione dell’esenzione dalla board neutrality rule
La regola che prevede la possibilità di un’asta tra offerte concorrenti non è l’unica espressione del favore mostrato dal legislatore nei confronti dell’interesse degli azionisti di minoranza a ottenere il maggior prezzo possibile in caso di opa.
Un’altra espressione di tale principio è rinvenibile nella concisa disposizione, contenuta nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 104 del t.u.f., che sottrae al regime della board neutrality rule le attività di ricerca di un’eventuale offerta concorrente da parte di uno o più “cavalieri bianchi”, per tali intendendosi i potenziali contendenti che presentino un’offerta percepita come amichevole (o meno ostile rispetto a quella dell’offerente originario).
La board neutrality rule è sancita dal primo periodo del citato comma 1 dell’art. 104, secondo cui, salvo autorizzazione dell'assemblea, le società italiane quotate i cui titoli sono oggetto dell’offerta si astengono dal compiere “atti od operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”.
Essa rappresenta un’evoluzione della c.d. passivity rule, già prevista dalla legge n. 149/1992, che vietava tout court le azioni difensive, senza la possibilità di un’autorizzazione da parte degli azionisti della società target.
La ratio della norma oggi in vigore è chiara: poiché le azioni difensive potrebbero vanificare un’opportunità di disinvestimento da parte degli azionisti, appare corretto che la decisione in merito a tali azioni sia rimessa agli azionisti stessi (o meglio, alla maggioranza di essi) sottraendone la competenza agli amministratori, che si trovano in una situazione di (fisiologico) conflitto di interessi.
Come già accennato, dall’applicazione di tale norma è espressamente esclusa l’attività di ricerca del “cavaliere bianco”. Infatti, il citato art. 104 puntualizza che “la mera ricerca di altre offerte non costituisce atto od operazione in contrasto con gli obiettivi dell’offerta”.
Va detto che la ricerca di altre offerte appare, nella prassi, lo strumento più efficace per contrastare una scalata considerata ostile. L’esperienza, quantomeno italiana, dimostra che è assai difficile resistere all’assedio in mancanza di alleati. Spesso, infatti, le bordate lanciate contro l’aggressore (valutazioni negative sul corrispettivo offerto in relazione al valore potenziale delle azioni; critiche sulla valenza industriale dell’operazione, etc.) non ottengono l’effetto desiderato, che è quello di dissuadere gli azionisti dall’aderire all’offerta. Si sa che gli azionisti, al momento di decidere se aderire o meno, usano il pallottoliere e non la sfera di cristallo. E il fatto che non si sia presentato nessuno disposto a offrire una lira in più è un chiaro segnale che quel corrispettivo, per quanto inferiore alle aspettative dell’azionista, è il migliore ottenibile sul mercato in quel momento.
La disposizione sopra citata riproduce, con un’integrazione ritenuta non priva di significato da alcuni commentatori, l’art. 9, par. 2, della Direttiva OPA, che nell’assoggettare ad autorizzazione le operazioni che possono contrastare gli obiettivi dell’offerta, fa salva la ricerca di altre offerte.
L’integrazione operata dal legislatore italiano – la “mera” ricerca – viene interpretata dalla dottrina nel senso che gli amministratori sono tenuti a un obbligo di totale neutralità rispetto alla competizione tra diversi offerenti.
La dottrina fornisce alcuni esempi di comportamenti degli amministratori che andrebbero al di là della mera ricerca, in quanto lesivi del suddetto principio di neutralità: l’assunzione di impegni, in nome della società target, a favore del promotore dell’offerta concorrente; la messa a disposizione del contro offerente di informazioni negate al primo offerente.
Simili comportamenti eccederebbero, secondo tale dottrina, la “mera ricerca” di altre offerte e dovrebbero essere, pertanto, autorizzati dall’assemblea.
Tale orientamento, pur condivisibile in linea di principio, merita alcune precisazioni.
Innanzitutto, non sembra potersi dubitare che l’attività di ricerca possa comportare un atteggiamento proattivo verso i potenziali contro offerenti, al fine di negoziare – e finanche di suggerire – le condizioni che realizzino la miglior tutela di tutti gli interessi in gioco (degli azionisti, ma anche degli altri stakeholders).
Mi riferisco non solo – e non tanto – alla negoziazione sul corrispettivo dell’offerta, in merito al quale, a parità delle atre condizioni, gli azionisti oblati sono già posti in condizione di fare le appropriate comparazioni.
Alludo, invece, a tutte le altre condizioni che il potenziale contro offerente può inserire nella propria offerta, non essendo certo vincolato agli elementi contrattuali delineati nella prima offerta.
Ciò vale, in primo luogo, per la struttura stessa dell’offerta. Si pensi al caso, non infrequente, in cui il primo offerente abbia proposto come corrispettivo strumenti finanziari di propria emissione, senza offrire la possibilità di un pagamento in contanti. In tale ipotesi, gli azionisti oblati, accettando l’offerta, sarebbero esposti a due effetti non desiderabili, tra loro collegati: il cambiamento del profilo dell’investimento, dovuto al verosimile cambiamento del modello di business e del profilo di rischio; l’incertezza in merito al prezzo futuro degli strumenti finanziari ricevuti in concambio.
In tale situazione, ben potrebbero gli amministratori negoziare con un potenziale contro offerente una soluzione che preveda, anche solo come opzione lasciata ai destinatari dell’offerta, che almeno una parte del corrispettivo sia pagata in cash.
Ancora: a fronte di un’offerta originaria sulla totalità delle azioni con l’obiettivo del delisting, la società target potrebbe andare alla ricerca di un cavaliere bianco – tipicamente un partner strategico – che riconosca un valore all’autonomia della target e proponga ai suoi azionisti di acquistare un quota non superiore al 30% del capitale sociale a un prezzo unitario sensibilmente più elevato rispetto a quello della prima offerta (una sorta di premio di minoranza qualificata). In tal modo, gli azionisti potrebbero beneficiare di una plusvalenza più consistente (o, secondo i casi, contenere la minusvalenza) e nello stesso tempo continuare a scommettere sul futuro apprezzamento delle azioni della target, che resterebbero quotate.
Effetti analoghi potrebbero essere realizzati attraverso un’opa parziale preventiva, ai sensi dell’art. 107 del t.u.f.. Tale norma prevede un’esenzione dall’obbligo di promuovere un’opa totalitaria se il superamento della soglia del 30% avviene mediante un’offerta pubblica di acquisto o di scambio, a condizione (tra l’altro) che l'efficacia dell'offerta sia stata condizionata all’approvazione della maggioranza dei possessori delle azioni, restando escluse dal computo le azioni detenute dall’offerente, dal socio di maggioranza, anche relativa, se la sua partecipazione sia superiore al 10%, e dalle persone che agiscono di concerto con lui.
Tale forma di opa, sebbene poco utilizzata nella prassi[4] per la sua complessità operativa, potrebbe rivelarsi uno strumento tatticamente interessante per contrastare un’opa ritenuta ostile, anche alla luce del fatto che il primo offerente potrebbe reagire elevando il corrispettivo, ma non potrebbe ridurre il quantitativo richiesto[5].
Oltre che sulla struttura dell’offerta, la negoziazione con il potenziale contro offerente potrebbe convergere su alcuni aspetti migliorativi aventi ad oggetto gli elementi accidentali dell’offerta, quali le condizioni di efficacia della stessa e gli impegni assunti in merito ai piani futuri.
Sotto il primo aspetto, come già osservato dalla dottrina, l’offerta concorrente potrebbe rinunciare a riprodurre (o comunque alleggerire) talune delle condizioni sospensive riportate nella prima offerta.
Per quanto riguarda i programmi futuri, si può ipotizzare che il contro offerente assuma impegni su svariati aspetti (ovviamente in caso di successo della propria offerta), quali il livello occupazionale, il mantenimento di impianti produttivi o unità commerciali sul territorio, la prosecuzione, a condizioni non peggiorative, dei rapporti con talune classi di fornitori e/o clienti, la negoziazione di nuovi rapporti di collaborazione finalizzati a sviluppare l’attività della target, la politica dei dividendi (per il caso di offerta parziale).
A me sembra che gli amministratori che intraprendano trattative con potenziali contro offerenti sugli argomenti sopra indicati non violerebbero il principio della parità di trattamento tra diversi offerenti, fermo restando l’obbligo, sancito dall’art. 42, comma 5, del Regolamento Emittenti[6], di garantire la parità informativa e ferma restando la facoltà del primo offerente di modificare la propria offerta prevedendo impegni allineati a (o finanche migliorativi o comunque diversi da) quelli assunti dal contro offerente.
Il fatto poi che, per ipotesi, alcuni impegni possano essere assunti dal contro offerente, ma non dal primo offerente, ad esempio a causa di circostanze fattuali attinenti al modello di business o a vincoli regolamentari, non sembra rilevante ai fini che qui interessano. Tali differenze di natura industriale e/o regolamentare non dipenderebbero, infatti, da un comportamento discriminatorio degli amministratori della target, i quali non solo potranno, ma anzi dovranno tenerne conto ai fini delle valutazioni che sono tenuti a esprimere ai sensi dell’art. 103, comma 3, del t.u.f. e dell’art. 39 del Regolamento Emittenti.
Proprio dalle disposizioni da ultimo citate, che richiedono all’organo amministrativo della target di esprimere le proprie valutazioni sulle offerte presentate, si può evincere che la neutralità richiesta agli amministratori è di natura strettamente procedimentale – essendo volta a garantire che la gara tra i diversi contendenti si svolga nel rispetto delle regole del gioco e che nessuno di essi sia avvantaggiato o ostacolato da comportamenti discriminatori – ma che, al contempo, gli amministratori conservano il potere, se non anche il dovere, di esprimere una preferenza, sia sotto il profilo finanziario sia sotto il profilo industriale, per una delle offerte tra loro contrapposte.
Anche sul tema della parità informativa verso i diversi offerenti, appare utile qualche precisazione. Può infatti accadere che il promotore di una delle offerte tra loro concorrenti (o una persona che agisce di concerto con lo stesso) sia membro dell’organo di amministrazione della target e, per tale via, disponga di informazioni non privilegiate (c.d. soft information) non di dominio pubblico, ma comunque utili ai fini della valutazione della target.
Anche in questo caso si è in presenza di un disallineamento informativo non riconducibile a un trattamento discriminante, che non richiede, a mio parere, alcuna azione correttiva ai sensi del citato art. 42, comma 5, del Regolamento Emittenti.
Analogo discorso può valere per quelle informazioni su aspetti di natura industriale o commerciale che siano eventualmente in possesso di uno dei contendenti in virtù di pregressi rapporti di affari, fermo restando che la fornitura di nuove informazioni di analoga natura soggiace al principio di parità informativa sancito del predetto art. 42.
Questioni di governance e di compliance
Una volta chiarito quale sia l’ambito di applicazione della norma che sottrae la ricerca di offerte alternative alla regola della board neutrality, si pongono alcune questioni di governance e di compliance che esporrò nell’ultima parte del mio intervento, senza alcuna pretesa di completezza, e alle quali cercherò di dare alcune risposte di massima, nella consapevolezza che la casistica è talmente variegata da giustificare soluzioni “a geometria variabile”.
Il primo tema da affrontare è quello della competenza a svolgere l’attività di ricerca dei potenziali contro offerenti. Sul punto, possono essere
svolte alcune considerazioni.
Da un lato, va osservato che l’attività in questione è, per definizione, tale da non comportare l’assunzione di impegni da parte della target, altrimenti sconfinerebbe dalla “mera” ricerca. La mancanza di effetti giuridici vincolanti per la società potrebbe indurre a ritenere, in prima approssimazione, che gli amministratori muniti di responsabilità gestorie e/o di rappresentanza (i.e., gli amministratori delegati e il presidente dell’organo amministrativo) siano legittimati a svolgere l’attività in questione senza bisogno di una specifica delega o investitura da parte del consiglio di amministrazione, salvo informare ex post il consiglio sull’esito dei contatti avviati.
Dall’altro lato, occorre tenere conto di almeno due elementi.
Innanzitutto, per quanto non impegnativa per la società, la ricerca del cavaliere bianco assume una valenza strategica cruciale, che merita quantomeno un’informativa preventiva al consiglio, il quale potrebbe indicare alcune linee guida in merito ai criteri di selezione dei potenziali alleati.
Inoltre, poiché gli amministratori esecutivi e/o il presidente del consiglio di amministrazione potrebbero essere interessati a favorire eventuali contendenti dai quali si aspettano, anche in assenza di una specifica garanzia al riguardo, la conferma dei loro incarichi, appare quantomeno opportuna – anche se non strettamente necessaria sulla base delle disposizioni applicabili – l’attivazione parziale della procedura per le operazioni con parti correlate, prevedendo ad esempio il coinvolgimento degli amministratori indipendenti nelle trattative[7].
La situazione potrebbe, peraltro, risultare più complessa. Si pensi al caso in cui uno o più consiglieri abbiano uno specifico interesse a ostacolare la ricerca di un cavaliere bianco. In simili casi, oltre alla comunicazione dell’interesse ai sensi dell’art. 2391 cod. civ., potrebbe essere opportuna l’astensione del consigliere interessato da qualsiasi attività riguardante la ricerca.
Ma può anche accadere che proprio uno dei consiglieri sia un potenziale contro offerente e svolga in autonomia un’attività di ricerca di potenziali investitori da aggregare alla cordata. In tale ipotesi, sembra da escludere la necessità di un’autorizzazione da parte del consiglio di amministrazione, restando da chiarire se e quando tale iniziativa debba essere comunicata al consiglio stesso.
Sotto il profilo della disciplina degli abusi di mercato, la mera decisione degli amministratori di avviare la ricerca di potenziali investitori che si contrappongano all’offerta ostile non sembrerebbe avere le caratteristiche di precisione richieste affinché possa essere considerata un’informazione privilegiata.
Tuttavia, anche per i motivi che saranno di seguito indicati, potrebbe risultare opportuno comunicare al mercato, in una forma che non ingeneri indebite aspettative da parte degli investitori[8], che la società target intende esplorare opzioni strategiche alternative rispetto a quelle configurate nell’opa già annunciata.
Un’altra possibile questione riguarda il momento in cui, nel corso delle trattative con il potenziale contro offerente, venga ad esistenza una informazione privilegiata. Come noto, fino all’entrata del c.d. Listing Act, assumono rilievo ai fini degli obblighi di disclosure al mercato, anche le c.d. “tappe intermedie” di un processo prolungato.
Sul punto, occorre ricordare che, per essere considerata privilegiata, un’informazione dev’essere di carattere preciso e che, ai sensi del par. 2 dell’art. 7 MAR, “si considera che un’informazione ha un carattere preciso se essa fa riferimento a una serie di circostanze esistenti o che si può ragionevolmente ritenere che vengano a prodursi”.
Ovviamente, l’individuazione del fatto che determini la ragionevole previsione di tali circostanze è frutto di valutazioni fattuali da condursi caso per caso.
In linea di principio, non si può escludere che nel corso delle negoziazioni sia possibile individuare un momento – antecedente a quello in cui il cavaliere bianco adotta la decisione formale di promuovere un’offerta concorrente – in cui si possa ragionevolmente ritenere che tale offerta sarà lanciata.
In tale momento, l’informazione in questione, se in possesso della società target, dovrebbe essere comunicata senza indugio al mercato ai sensi dell’art. 17 MAR[9]. Ciò, peraltro, determinerebbe un disallineamento rispetto agli obblighi informativi gravanti sull’offerente, il quale è tenuto a effettuare la comunicazione ex art. 102 del t.u.f. soltanto a seguito di una formale decisione in tal senso[10]
A me sembra che in una simile ipotesi ricorrerebbero i presupposti per attivare la procedura di ritardo ai sensi del paragrafo 4 del predetto art. 17 MAR. Come noto, l’emittente può ritardare sotto la sua responsabilità la diffusione dell’informazione a condizione, tra l’altro[11], che:
a) la comunicazione immediata pregiudicherebbe probabilmente i legittimi interessi dell’emittente;
b) il ritardo nella comunicazione probabilmente non avrebbe l’effetto di fuorviare il pubblico.
Per quanto riguarda la condizione sub a), si può osservare come l’anticipo dell’informazione rispetto alla pubblicazione ex art. 102 rischierebbe di far fallire l’operazione, con grave pregiudizio per gli interessi dell’emittente e dei suoi azionisti.
Per quanto riguarda la condizione sub b), va considerato che normalmente le opa/ops ostili sono rivolte nei confronti di società contendibili, ragion per cui il lancio di un’offerta concorrente non appare inverosimile e, quindi, il differimento della relativa informazione non dovrebbe essere considerato fuorviante; ciò vale, a maggior ragione, nel caso (non infrequente) in cui i corsi borsistici siano più elevati rispetto al corrispettivo della prima offerta, scontando un’aspettativa sul rilancio e/o potenziali offerte concorrenti.
Al contrario, la comunicazione anticipata di un’informazione necessariamente meno completa di quella che sarà fornita dal contro offerente ai sensi dell’art. 102 del t.u.f., potrebbe risultare, essa sì, fuorviante e causa di irregolarità nella negoziazione dei titoli.
Inoltre, il giudizio sul carattere non fuorviante del ritardo potrebbe essere agevolato nel caso in cui, come sopra suggerito, l’organo amministrativo della società target abbia preventivamente comunicato la propria intenzione di esplorare possibili soluzioni alternative rispetto alla prima opa annunciata.
Tra le innumerevoli altre questioni che si potrebbero porre con riferimento alla ricerca di offerte alternative da parte della società target, merita un cenno quella relativa alla possibile applicazione della disciplina relativa ai sondaggi di mercato, contenuta nell’art. 11 MAR.
In via di prima approssimazione – ma la questione meriterebbe un approfondimento – riterrei che la fattispecie in esame dovrebbe essere ragionevolmente esclusa dall’ambito di applicazione della predetta norma.
Il paragrafo 1 della stessa, infatti, sembra alludere ai sondaggi effettuati dall’emittente o da un partecipante al mercato secondario (o per conto di tali soggetti, ad esempio da un advisor finanziario) con riferimento a possibili operazioni, da parte di tali soggetti (c.d.disclosing market participant), aventi ad oggetto strumenti finanziari soggetti alla MAR.
Nel caso che ci occupa, invece, il sondaggio riguarderebbe possibili operazioni da parte dei soggetti sondati e non del disclosing market participant.
Tale conclusione sembra confermata dal paragrafo 2 del citato art. 11 MAR, che riguarda proprio il caso di una possibile offerta pubblica d’acquisto e che assoggetta al regime dei market soundings i sondaggi compiuti dal potenziale offerente nei confronti dei possessori dei titoli oggetto della potenziale offerta.
Anche in questo caso, non sembra possibile estendere l’ambito di applicazione della disposizione sino a ricomprendervi i sondaggi effettuati dalla società target nei confronti dei potenziali contro offerenti.
Non resterebbe, dunque, che applicare la regola generale contenuta nel par. 8 dell’art. 17 MAR – che consente all’emittente di comunicare informazioni privilegiate a terzi, nel normale esercizio di un'occupazione, una professione o una funzione, a condizione che la persona che riceve le informazioni sia tenuta a un obbligo di riservatezza – integrata dal già citato art. 42, comma 5, del Regolamento Emittenti (il cui ambito di applicazione si estende, come detto, alla soft information).
Cenni sulla responsabilità degli amministratori
Concludo queste brevi riflessioni ricordando che, ai sensi dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 104 del t.u.f., anche in caso di autorizzazione assembleare al compimento di azioni difensive, resta ferma la responsabilità degli amministratori, dei membri del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione nonché dei direttori generali per gli atti e le operazioni compiute.
La norma può essere considerata un corollario del principio in base al quale la gestione della società spetta esclusivamente agli amministratori (art. 2380-bis cod. civ.) e che un’eventuale autorizzazione assembleare, ove prevista dallo statuto, non esonera gli amministratori da responsabilità (art. 2364, comma 1, n. 5, cod. civ.). Anzi, si può affermare che la disposizione in commento, essendo antecedente agli articoli del codice civile appena citati, rappresenta un’anticipazione di tale principio.
Non è pacifica, peraltro, la portata di tale disposizione.
Sicuramente, potrà sussistere la responsabilità degli amministratori quando l’azione difensiva sia pregiudizievole per il patrimonio della società target.
Più dubbio è se, in caso di operazione che non sia in sé pregiudizievole, possa essere fonte di responsabilità il solo effetto di contrasto all’opa ostile, nella misura in cui dal successo di tale opa ci si possano attendere ricadute positive per il business della società (ad esempio, in termini di sinergie di costo e di ricavo o di miglioramento della situazione finanziaria), ovvero se tale effetto vada esente da responsabilità in applicazione della business judgement rule.
In mancanza di precisazioni, si ritiene in dottrina che la responsabilità cui allude l’art. 104 sia anche quella nei confronti dei soci, ex art. 2395 cod. civ.. In particolare, sarebbe risarcibile il danno subito dall’azionista che, in conseguenza dell’azione difensiva autorizzata dall’assemblea, veda vanificata l’opportunità di cedere i propri titoli all’offerente.
Il punto è delicato.
Innanzitutto, non dovrebbe poter vantare diritti risarcitori il socio che fosse intervenuto all’assemblea votando a favore dell’operazione proposta, ma fors’anche quello che, non intervenendo all’assemblea, abbia rinunciato a esercitare il proprio diritto di voice.
Ma vi è di più: secondo l’opinione prevalente, la responsabilità diretta degli amministratori nei confronti dei soci ex art. 2395 presuppone un atto illecito lesivo di un diritto soggettivo del socio. Ebbene, da un lato potrebbe dubitarsi circa l’antigiuridicità di un’azione difensiva espressamente consentita dalla legge e autorizzata dall’assemblea; dall’altro lato, non sembra così scontato che l’interesse del socio a liquidare il proprio investimento mediante l’adesione all’opa debba essere qualificato come diritto soggettivo e non, piuttosto, come aspettativa di mero fatto.
Venendo alle azioni di “mera” ricerca di cavalieri bianchi, un tema di responsabilità non sembra nemmeno ipotizzabile, posto che tali azioni sono volte a fornire agli azionisti una chance ulteriore di disinvestimento, a condizioni potenzialmente migliorative, e alla società target la possibilità di aggregarsi a un partner strategico che possa garantire condizioni più favorevoli alla tutela degli interessi di tutti gli stakeholder.
Grazie dell’attenzione.
_________________________
[1]G.B. Portale – A. Dolmetta, Il cavaliere bianco è 'dimezzato'? Due questioni cruciali per l'OPA concorrente, in Banca borsa e titoli di credito, 1995, 235. Ebbi il privilegio di leggere il parere in anteprima, in quanto legale interno di uno degli istituti di credito facenti parte della cordata.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 3958/94 del 18 gennaio 1995, in Banca borsa e titoli di credito, 1995, 349, ove si legge: “se lo scopo perseguito dalla legge sull’OPA è quello – come generalmente riconosciuto – di tutela dell’azionista risparmiatore, e del suo interesse a realizzare il miglior prezzo del titolo, tale interesse deve essere perseguito tramite un procedimento che assicuri un ordinato svolgimento del mercato, evitando l’innescarsi di pericolose aste anomale. Nella legge sono, infatti, presentati una serie di disposizioni ispirate all’esigenza di evitare che l’OPA, da mezzo per tutelare il risparmiatore, si trasformi in una occasione di turbamento del mercato”.
[3] Art. 106, comma 4, lettera d), del t.u.f..
[4] Tra i pochi casi, si possono ricordare l’opa sulla Banca Agricola Mantovana nel 1998 e quella sulla Banca Popolare di Intra nel 2007.
[5] Cfr. artt. 43, comma 2, e 44, comma 2, secondo periodo, del Regolamento Emittenti.
[6] Ai sensi del quale, in caso di offerte concorrenti, l’emittente che fornisce informazioni a uno degli offerenti, comunica tempestivamente le medesime informazioni agli altri offerenti che abbiano presentato richieste specifiche e circostanziate di accesso a tali informazioni.
[7] Cfr. l’art. 8, comma 1, lettera b), del Regolamento Consob n. 17221/2010, che con riferimento alle operazioni con parti correlate di maggiore rilevanza richiede che “un comitato, anche appositamente costituito, composto esclusivamente da amministratori indipendenti non correlati o uno o più componenti dallo stesso delegati siano coinvolti tempestivamente nella fase delle trattative e nella fase istruttoria attraverso la ricezione di un flusso informativo completo e aggiornato e con la facoltà di richiedere informazioni e di formulare osservazioni agli organi delegati e ai soggetti incaricati della conduzione delle trattative o dell’istruttoria”.
[8] Nel qual caso, potrebbe realizzarsi un illecito di manipolazione informativa.
[9] Non sembrano esservi dubbi che, sebbene relativa a un atto di un terzo, si tratterebbe di informazione riguardante direttamente l’emittente, come richiesto dalla lettera a) dell’art. 17 MAR.
[10] Si fa ovviamente riferimento al caso, statisticamente più frequente, in cui l’offerta sia promossa da una persona giuridica.
[11] La terza condizione è che l’emittente sia in grado di garantire la riservatezza dell’operazione.
Koiné fornirà assistenza e consulenza legale in relazione agli adempimenti posti a carico del Consiglio di Amministrazione e degli Amministratori Indipendenti nell’ambito dell’Offerta Pubblica di acquisto volontaria totalitaria sulle azioni ordinarie della Società (“OPA”), promossa da Lake BidCo S.p.A.
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In caso di opa, la mera ricerca di potenziali contro offerenti non soggiace alla "board neutrality rule". Lo scritto offre una panoramica su alcuni aspetti legali relativi alla ricerca di "cavalieri bianchi".
Il trust, istituto giuridico di origine anglosassone, è stato riconosciuto dal nostro ordinamento a seguito della entrata in vigore della legge 16 ottobre 1989, n. 364, di «ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L'Aja il 1° luglio 1985».
Durante la pendenza del termine dei centoventi giorni, la condanna della P.A. al pagamento è sospesa e il creditore non può agire in executivis, né preannunciare di averne l’intenzione col precetto. L’art. 14 ha introdotto nell’ordinamento processuale un minisistema applicabile alle sole esecuzioni contro le P.A.
Un approfondimento eseguito con Renzo Misitano, Direttore dell’Area Sviluppo Immobiliare di DeA Capital Real Estate SGR S.p.A., contenuto ne “Le smart cities al tempo della resilienza” a cura del Prof. Giuseppe Franco Ferrari, Mimesis Edizioni, 2021.
La pubblica amministrazione (P.A.) può essere condannata al pagamento di somme di denaro ed essere soggetta all’azione esecutiva del creditore. Quasi ovvio pensarlo, non sempre è stato così.
Approfondimento sulla natura dei commi 2-bis e 2-ter dell'art. 12, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 75 - 01/07/2009, n. 78, alla luce della recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione.