Il fallimento dopo l'omologazione del concordato preventivo

DA Antonio Donvito18 febbraio 2022

Cass. civ., Sez. Unite, 14 febbraio 2022, n. 4696: «Nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modifiche apportate dal D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del PM o sua propria, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 l.f.»  

Nota alla sentenza 

La Cassazione è intervenuta per dirimere un contrasto interpretativo, peraltro più dottrinale che giurisprudenziale, circa la possibilità di chiedere il fallimento dell’impresa ammessa al concordato preventivo dopo l’omologazione nel caso di mancata esecuzione del piano.

La questione concreta era se il creditore potesse chiedere il fallimento dell’impresa dopo l’omologazione del concordato senza dover passare dalla risoluzione della procedura ex art. 186 legge fall. 

Il dato di partenza è l’art. 186 legge fall., come modificato dal d.lgs. n. 169/2007: la norma stabilisce che:

«ciascuno dei creditori può chiedere la risoluzione del concordato (omologato) per inadempimento»;

«il concordato non si può risolvere se l’inadempimento ha scarsa importanza»;

«il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato».

Il tema controverso è la coordinazione della procedura di concordato preventivo a quella fallimentare, prima e dopo l’omologazione.

Sul punto, già prima della riforma del 2007, la giurisprudenza riteneva improcedibili le istanze di fallimento presentate dopo l’omologazione del concordato, ammettendole solo in presenza di fatti sopravvenuti o a seguito della risoluzione o dell’annullamento del concordato (diversamente, prima del 2007, nel vigore del precedente testo dell’art. 186, legge fall., il concordato poteva essere dichiarato risolto d’ufficio dal tribunale, anche senza il ricorso dei creditori con contestuale dichiarazione d’ufficio il fallimento; v. Cass. n. 9935/2015).

Il fallimento in pendenza del concordato fino all’omologazione

Premesso che per pendenza s’intendono le fasi di ammissione, approvazione o di omologazione del concordato, la sentenza delle Sezioni Unite conferma l’orientamento tradizionale secondo cui la pendenza di una domanda di concordato impedisce la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180, legge fall. e cioè rispettivamente quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato (Cass., Sez. Un., nn. 9935 e 9936/2015).

Nei casi tassativamente previsti dagli artt. 162, 173, 179, 180 cit. il coordinamento tra le due procedure è dunque assicurato dall’esaurimento della procedura di concordato: la dichiarazione di fallimento presuppone pertanto l’esito negativo della procedura di concordato e non consente la presentazione di ulteriori domande di concordato.

Il fallimento dopo l’omologazione del concordato

Diversamente dalla situazione della pendenza, il rapporto tra concordato e fallimento e, più precisamente, tra il concordato (non attuato) e il fallimento nel contesto post-omologazione, muove dal fatto che con il decreto di omologazione la procedura di concordato preventivo si chiude (art. 181, legge fall.).

Chiusa la procedura, l’omologazione rimuove(rebbe) l’insolvenza dell’imprenditore sul presupposto del regolare adempimento degli obblighi e delle modalità satisfattive dei creditori concordate nel piano: se, tuttavia, gli obblighi assunti e le modalità concordate risultassero inadempiuti

o inattuabili, emergerebbe nuovamente l’insolvenza dell’impresa.

Ed allora l’inadempimento dell’accordo (o la sua impossibile esecuzione) rientrerebbe in quei fatti sopravvenuti che ammettono la presentazione di nuove istanze di fallimento: in definitiva, l’omologazione, la chiusura della procedura concordataria e l’accesso del debitore alla fase esecutiva, comporterebbero l’applicazione dei principi generali della responsabilità del debitore e della regola della fallibilità dell’imprenditore commerciale insolvente ex artt. 1 e 5, legge fall.

Precisa la Cassazione che se l’art. 168, legge fall. vieta ai creditori anteriori le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore che abbia chiesto il concordato, fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, sicché dopo questo momento i creditori riacquistano la legittimazione ad agire contro il debitore per ottenere l’esecuzione del patto, non si comprende perché non lo possano fare con tutti i mezzi consentiti dalla legge e quindi anche con l’azione fallimentare, senza che questa sia condizionata dalla presentazione dell’istanza di risoluzione ex art. 186, legge fall.

Né rileva la previsione del quarto comma dell’art. 186 cit. che esclude la risoluzione quando gli obblighi del concordato siano assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore: nel qual caso non si dubita che il fallimento possa essere chiesto nei confronti dell’assuntore, il cui intervento ha comportato la novazione soggettiva degli obblighi pregressi.

In linea di principio è dunque possibile – ricorrendone i presupposti - dichiarare il fallimento dell’impresa senza la preventiva risoluzione o il preventivo annullamento del concordato omologato.

Effetti del fallimento sui creditori anteriori

La possibilità del fallimento dell’impresa dopo l’omologazione per l’inadempimento del piano, pone il tema della misura del credito insinuabile allo stato passivo del fallimento: per la percentuale concordataria o per l’intero?

Sulla questione è intervenuta la Cassazione, esprimendo un orientamento consolidato, che trae spunto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106/2004: la Cassazione distingue tra fallimento dichiarato nell’anno, entro il quale può essere richiesta la risoluzione e fallimento dichiarato successivamente. Nella prima ipotesi il creditore non sopporta gli effetti esdebitatori del concordato omologato ed il suo credito può essere ammesso per l’intero allo stato passivo del fallimento (Cass. nn. 12085/20; 26002/18); diversamente, nel secondo, se il fallimento è stato dichiarato dopo l’anno, il credito non verrà ammesso per l’intero, ma nella misura falcidiata dal concordato (Cass. nn. 8919/21; 29632/17; 17703/17).

Conclusioni

I. Durante la pendenza della procedura di concordato preventivo e sino all’omologazione il creditore può presentare istanza di fallimento solo nei casi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180, legge fall. e cioè rispettivamente quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato.

II. Dopo l’omologazione del concordato il creditore (lo stesso debitore, il P.M.) può presentare istanza di fallimento in caso di inadempimento o mancata attuazione del piano, a prescindere dalla richiesta di risoluzione o annullamento del concordato.

III. Se il fallimento è stato dichiarato entro l’anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento del piano concordatario, il creditore può chiedere l’ammissione del proprio credito allo stato passivo dell’intero credito.

IV. Se il fallimento è stato dichiarato dopo l’anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento del piano concordatario, il creditore può chiedere l’ammissione allo stato passivo del proprio credito nella misura falcidiata dal concordato.

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