Città del futuro e fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF)

DA Gianluca Grea19 novembre 2021

1. Introduzione. 2. Strumenti di investimento per la città del futuro. 3. La sostenibilità e le città del futuro. 4. La correlazione tra città smart, ELTIF e ESG. 5. Il percorso verso la città intelligente. 6. Gli indicatori della smartness. 7. Il finanziamento dei progetti smart.

 

1. Introduzione

La Commissione europea si è posta, da alcuni anni, l’obiettivo di rafforzare l’economia attraverso lo stimolo degli investimenti e sviluppando il mercato degli strumenti di capitale, ancora poco efficiente e frammentato. Investimenti che, pianificati su un periodo di lungo termine, abbisognano di mercati di capitale più forti e articolati, strutturati e integrati, così come di adeguate regole e strumenti comuni.

Il progetto, e percorso, di creazione di un mercato unico dei capitali, è stato lanciato dall’Unione Europea a settembre del 2015, con 33 azioni politiche ambiziose, sette priorità politiche fondamentali e tre elementi essenziali (i) sviluppo di un sistema finanziario maggiormente diversificato, che integri la finanza bancaria con gli strumenti dei mercati dei capitali, (ii) sblocco della capacità dei mercati dei capitali di sostenere la crescita, offrendo a risparmiatori e investitori un numero maggiore di scelte d’investimento e (iii) istituzione di un autentico mercato unico dei capitali nell’UE attraverso la rimozione degli ostacoli agli investimenti transfrontalieri e alla raccolta di capitali. Successivamente, il piano di azione è stato rafforzato da misure supplementari e ulteriori ambiti di interesse e intervento.

Un mercato unico dei capitali potrà migliorare l’efficienza e l’interazione con la finanza bancaria, consentendo positivi effetti in termini di investimenti, competitività, crescita e stabilità e rafforzando il collegamento tra risparmio e mondo imprenditoriale, nell’interesse di consumatori e investitori e delle stesse imprese in termini di maggiore disponibilità di opzioni e strumenti: le recenti crisi, a partire da quella del 2008, hanno infatti evidenziato la debolezza sistemica derivante dalla dipendenza delle PMI dai finanziamenti bancari.

Non da ultimo, la ripresa post Covid-19 dovrà considerare gli elementi di continuità necessaria, con la discontinuità di alcune abitudini “sociali” o “settoriali” che porteranno allo sviluppo o consolideranno, accelerandole, nuovi comportamenti e necessità. Non è irragionevole pensare che tali nuove esigenze presuppongano visioni e investimenti anche, e forse soprattutto, di medio-lungo termine. Quanto sopra implica un percorso di integrazione costante, ma necessariamente rapido, virtuoso e progressivo. Si tratta, sempre in termini di semplificazione, di rimuovere gli ostacoli, culturali, amministrativi, tecnologici, che dividono coloro che intendono investire da coloro che ricercano investitori e, soprattutto, il sottostante l’investimento. Si tratta, forse e altresì, di razionalizzare e semplificare il numero degli strumenti disponibili: se è vero che un’ampia offerta ha il vantaggio di rispondere alle esigenze di nicchia è pur vero che troppe opzioni non consentono (o giustificano) gli sforzi e il monitoraggio necessari per il loro consolidamento.

Numerose infatti sono state, e sono, le misure legislative adottate, diverse tra loro sia con riguardo agli strumenti, che con riguardo agli attori.

Entrando nel merito dell’argomento che qui interessa, nei limiti dello spazio disponibile, si intende approfondire e offrire spunti di riflessione in merito: alla sostenibilità e alle città del futuro e allo strumento che, con qualche correzione, potrebbe veicolare investimenti dal mercato dei capitali in un’ottica di lungo periodo.

 

2. Strumenti di investimento per la città del futuro (ELTIF)

Partendo dal secondo ambito, strumentale al primo (e viceversa), una breve premessa che sposta l’attenzione sui più recenti ambiti di interesse, evidenziati per motivi differenti dai diversi operatori del mercato e ripresi, non da ultimo, dal regolatore.

“La transizione verso un’economia più circolare, in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo, è una componente indispensabile degli sforzi messi in campo dall’Unione Europea per sviluppare un’economia che sia sostenibile, rilasci poche emissioni di biossido di carbonio, utilizzi le risorse in modo efficiente e resti competitiva. Questa transizione offre all’Europa l’occasione di trasformare l’economia e generare nuovi vantaggi competitivi sostenibili … Stimolando l’attività sostenibile in settori chiave e nuove opportunità imprenditoriali, il piano contribuirà a sbloccare il potenziale di crescita e occupazione dell’economia circolare. Esso prevede vasti impegni in materia di progettazione eco-compatibile … e interventi mirati in settori quali la plastica, i rifiuti alimentari, l’edilizia, le materie prime essenziali, i rifiuti industriali e minerari, i consumi e gli appalti pubblici. […] Per stimolare la transizione verso un’economia circolare sono infine previste misure orizzontali che favoriscano l’innovazione e gli investimenti”[1].

Come abbiamo ricordato, per coniugare i diversi soggetti interagenti e il sistema (o strumento) di supporto, occorre che ne vengano correttamente declinati i diversi razionali per incorniciarli poi all’interno di un efficiente quadro normativo e regolamentare. Gli investitori istituzionali (imprese di assicurazioni, i fondi pensione e i fondi di debito di nuova istituzione) si avvalgono di strumenti disciplinati e regolati; la definizione di principi e termini codificati all’interno di un framework normativo forniscono certezze e regole comuni, nonché, in termini più vicini e rispondenti alle logiche di ritorno, possono assicurare un impianto stabile sulla base del quale impostare un piano previsionale di investimento: elementi tutti che rilevano soprattutto se l’investimento si prefigura di lungo periodo. La parola chiave infatti è “integrazione”. Un ruolo importante, come scritto, è rappresentato dalla razionalizzazione, o meglio focalizzazione, di pochi, ma efficienti strumenti finanziari collocati all’interno di cornici regolamentari: non solo contenenti le regole strettamente inerenti allo strumento e al suo funzionamento, ma che tengano conto dei diversi aspetti in gioco (obiettivi, ruoli, compiti, rischi) avuto riguardo agli interessi e alle problematiche proprie degli altri, numerosi attori pubblici e privati, che, in un progetto infrastrutturale di lungo periodo, sono necessariamente coinvolti e che non possono prescindere l’uno dall’altro. Ci si riferisce ai possibili interventi in campo pubblico attraverso modifiche nell’impostazione delle tematiche tributarie in materia di investimenti, incentivi fiscali non solo da lato del debito (interessi passivi), ma anche dal lato del capitale (fiscalità sui rendimenti di capitale), questi ultimi potrebbero migliorare i profili di rendimento delle iniziative di lungo periodo, come quelle in esame[2].

Tra gli altri, in particolare, si può (o meglio deve) fare riferimento alla direttiva e al regolamento comunitario di recente adozione relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), applicato a partire dal dicembre 2015. Prima dell’approvazione del regolamento ELTIF, gli investimenti transfrontalieri nelle infrastrutture non trovavano strumenti comunemente riconosciuti e regolati per la raccolta di capitali e l’investimento[3].

L’ELTIF rappresenta il nuovo veicolo transfrontaliero di finanziamento di progetti a lungo termine (nei settori delle infrastrutture, dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, degli impianti e dell’edilizia). Il regolamento ELTIF unisce i vantaggi del passaporto transfrontaliero alla possibilità di raccogliere capitale a lungo termine presso i piccoli investitori, compresi gli investitori al dettaglio. Il corretto recepimento dello strumento ELTIF nelle normative nazionali è quindi elemento essenziale per la loro diffusione, con un auspicabile “level playing field” anche fiscale tra le diverse declinazioni nazionali.

 

3. La sostenibilità e le città del futuro

Ormai quasi la metà della popolazione del mondo ha casa in una città: si stima che queste ultime arriveranno ad ospitare quasi 2,5 miliardi di nuovi residenti nel 2050. Le città devono confrontarsi con una crescente pressione ambientale ed un aumento del bisogno di infrastrutture; devono inoltre confrontarsi con l’aumento delle richieste dei residenti di avere una migliore qualità della vita e di averla a dei costi sostenibili. L’ultimo periodo ci ha insegnato che le città dovranno tenere conto di possibili ulteriori emergenze pandemiche, esperienza che porta con sé una nuova filosofia in termini di necessità di ridisegnare spazi, dimensioni, flussi, ragionare su presupposti diversi in termini di attività e commercio[4].

Quando l’Unione Europea parla di city intelligenti include sei dimensioni: peoplegovernance, economylivingmobilityenvironment Pare utile rappresentare che, prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, Oxford Economics aveva quantificato un gap infrastrutturale a livello globale di circa 15.000 miliardi (in dollari) al 2040: dato ampiamento sottostimato considerato che l’emergenza sanitaria ha evidenziato i limiti della politica di investimento dei governi su infrastrutture (primo fra tutti sanità, poi scuole e altro). Vengono ritenuti in forte evidenza per i prossimi anni quattro ambiti di interesse(richiamati in alcune parti del presente scritto con alcune precisazioni o maggiori approfondimenti (i) sostenibilità e tematiche ESG (contenimento nell’utilizzo delle materie prime, decarbonizzazione, transizione digitale, etc.), (ii) la progressiva dematerializzazione delle infrastrutture, da considerare anche come immateriali e legate alla digitalizzazione, (iii) trend di evoluzione demografica e connesse differenti esigenze, (iv) essenzialità della rivisitazione delle catene[5]. Tali dimensioni assorbono rilevanti ambiti, oggi all’attenzione di tutti noi, richiamando appunto anche e soprattutto fattori di environmental, social and governance (ESG).

 

4. La correlazione tra città smart, ELTIF e ESG

Ritornando quindi allo strumento ELTIF, altri interventi normativi sono stati emessi nel periodo successivo al 2015 per spingere ulteriormente lo strumento, a cominciare dai documenti in materia di requisiti patrimoniali sui prestiti bancari, all’economia per i finanziamenti a lungo termine e infrastrutturali: la Commissione europea è pronta a collaborare con gli investitori privati al fine di mettere in comune le risorse dell’UE e quelle private per incrementare i finanziamenti per gli tale tipologia di investimenti e la crescita sostenibile, in risposta alle indicazioni del crescente interesse di investitori per i progetti infrastrutturali, anche se spesso tali progetti – significativi per impatto in termini di sostenibilità – presuppongono il necessario intervento pubblico[6].

Mercati e strumenti finanziari efficienti possono pertanto aiutare gli investitori a prendere decisioni informate in materia di investimenti, nonché ad analizzare e a calcolare i rischi e le opportunità a lungo termine derivanti dal passaggio a un’economia sostenibile. Questo spostamento degli investimenti può contribuire al raggiungimento dei richiamati obiettivi delle politiche in materia di clima ed energia per il 2030 e al mantenimento degli impegni assunti dall’UE      per quanto concerne gli obiettivi di sviluppo sostenibile. La rapida crescita di questo mercato è sostenuta da una normalizzazione voluta e richiesta dagli stessi attori e basata su criteri di selezione dei progetti elaborati dalle istituzioni finanziare internazionali, quali la Banca mondiale, la Banca europea per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo: la Commissione è impegnata a proseguire nel monitoraggio e nello sostenere questi e altri sviluppi degli investimenti di tipo ESG, affinché gli operatori possano trarre vantaggio, riguardo alle decisioni di investimento, da un approccio stabile, sostenibile e a lungo termine.

Quindi, in un contesto europeo fortemente concentrato sul raggiungimento di obiettivi di natura ambientale e sociale, che si avvaledi avviati ed irrevocabili strumenti normativi focalizzati sull’ottenimento di tali risultati, gli investimenti in infrastrutture e tecnologie per città smart possono coniugare le ambizioni poste alla base del comune agire europeo con l’improrogabile evoluzione sostenibile delle nostre città, da ultimo, per certi versi, consolidata dall’attuale contesto di emergenza pandemica.

Quanto sopra deve essere oggi coordinato con le nuove esigenze emerse: elementi che si pongono in continuità, considerando che “l’emergenza pandemica ha evidenziato ulteriormente l’importanza di investimenti” a favore della mobilità e per rinnovare la rete infrastrutturale capace di esprimere una visione di insieme delle priorità del Paese (95%). Nella survey[7] viene evidenziata l’attenzione circa l’impatto che di tutte le grandi infrastrutture sin dalla sua progetta- zione, considerando la possibilità che un giorno vengano rimosse completamente. Per quanto riguarda le tipologie di infrastrutture, dall’indagine emergono come priorità quelle digitali (71%), i sistemi integrati di mobilità metropolitana (50%), l’alta velocità ferroviaria (43%) – privilegiando la sostenibilità ambientale (53%) e con l’obiettivo di migliorare il collegamento centro-periferie (45%) – e le infrastrutture sanitarie (41%). Ai fini di quanto qui interessa, emerge inoltre “una particolare attenzione al tema della rigenerazione urbana e ai nuovi modelli dell’abitare”: migliorare le infrastrutture fisiche per i trasporti e recuperare spazi abbandonati come ex fabbriche e caserme.

 

5. Il percorso verso la città intelligente

Per le città smart, tutto inizia con i data: le città nella loro complessità generano enormi quantità di data. Trovare delle opportunità nella lettura dei data può aiutare le amministrazioni pubbliche a rispondere in modo fluido alle occorrenze, allocare risorse in modo intelligente e pianificare il futuro. Inoltre, dare agli individui ed alle aziende informazioni in tempo reale permette loro di prendere decisioni migliori ed avere un ruolo attivo nel modellare la performance della città stessa.

Dopo poco più di un decennio di sperimentazioni, le città smart stanno entrando in una nuova fase. Anche se le città smart sono solamente una parte degli strumenti che servono per fare grande una città, le soluzioni digitali sono gli strumenti che esprimono un maggior potenziale ed una convenienza economica nel corso del tempo: aggiungendo l’intelligenza digitale ai sistemi urbani esistenti è possibile fare molto con poco.

La connessione delle applicazioni permette di dare informazioni in tempo reale agli utenti permettendo loro di fare scelte migliori. Questi strumenti possono salvare vite, prevenire crimini e ridurre il peso delle malattie. Possono fare risparmiare tempo, ridurre i rifiuti ed anche favorire l’interconnessione sociale. Quando le città funzionano in modo più efficiente diventano anche più produttive e di stimolo al business. Ovviamente le città intelligenti possono essere un fattore di disturbo per qualche settore ma sostanzialmente esse presentano di gran lunga una opportunità di mercato. Le esigenze dei residenti renderanno necessarie delle revisioni dei prodotti e servizi correnti per raggiungere aspettative più alte in termini di qualità, costi ed efficienza per tematiche che vanno dalla mobilità alla salute.

Le soluzioni delle città smart porteranno valore nel panorama delle città attraverso tutta la catena del valore. Le società che vogliono entrare nei mercati delle città intelligenti avranno bisogno di diverse abilità, modelli finanziari creativi ed una maggiore attenzione al coinvolgimento della popolazione.

La tecnologia rappresenta lo strumento principale per ottimizzare le infrastrutture, le risorse e gli spazi condivisi. Poche città vogliono rimanere indietro ma è fondamentale non essere trasportati dal- la tecnologia per il mero interesse della tecnologia stessa. Le città smart hanno bisogno di focalizzarsi per migliorare le aspettative dei residenti, stimolando la loro attiva partecipazione nel modellare i luoghi che loro chiamano “casa”, a maggior ragione considerati gli output che già incominciano a delinearsi dalle discussioni trasversali su cosa e come sarà la socialità del vivere l’attività lavorativa e quella personale una volta stabilizzatasi o superata la crisi sanitaria di questi mesi.

Fino a poco tempo fa le amministrazioni pubbliche immaginavano le tecnologie smart principalmente come strumenti per essere più efficienti. I dati rilevati dai sensori ed i centri ad alta tecnologia pro- mettevano rivoluzionari nuovi modi di gestire operazioni complesse e sistemi di infrastrutture automatizzati. Oggi invece la tecnologia è stata introdotta più direttamente nella vita dei residenti[8].

Gli smartphones sono diventati le chiavi della città dando immediate informazioni a milioni di persone sulla viabilità, sul traffico, sui servizi per la salute, sulla sicurezza e sulle notizie della comunità. Dopo più di 10 anni di prove e tentativi, gli amministratori pubblici hanno realizzato che le strategie per le città smart iniziano con le persone e non con la tecnologia. La “smartness” non è solamente installare un’interfaccia digitale su infrastrutture tradizionali o semplificare operazioni della città. Si tratta invece di usare la tecnologia ed i dati in maniera mirata per prendere decisioni migliori e offrire una migliore qualità della vita.

La qualità della vita ha diverse dimensioni, dall’aria che i residenti respirano sino al senso di sicurezza che hanno quando camminano per la strada. Dozzine di applicazioni digitali affrontano questo tipo di pratiche preoccupazioni umane. Si può immaginare che le città intelligenti possano migliorare alcuni indicatori di qualità della vita di circa il 10-30%, numeriche si traducono in vite salvate, riduzione del crimine, spostamenti più brevi da casa-lavoro, un minore aggravio sul sistema sanitario ed una riduzione di emissioni di carbonio.

Il bisogno pertanto è chiaro.

Le città affrontano pressioni senza precedenti date dal boom della popolazione e da un sistema di infrastrutture precario. Anche se le città sono fonte di potenziali problemi e tensioni sociali sono anche però il miglior laboratorio mondiale per le soluzioni.

Le città smart mettono i dati e la tecnologia digitale al lavoro con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita. Le tecnologie smart possono incentivare le persone a spostarsi durante le ore di meno traffico, a cambiare strada, ad usare meno energia e meno acqua e farlo in diverse ore del giorno e ridurre tensioni del sistema sanitario attraverso la prevenzione personale. Il risultato non è solamente una città più vivibile ma anche un posto più produttivo dove le aziende possono operare.

 

6. Gli indicatori della smartness

Per analizzare meglio le città moderne e capire il loro livello di intelligenza attraverso degli indicatori, ad esempio, è stato proposto un modello di città smart a strati o a layers (livelli).

Secondo questo approccio la città intelligente si articola su quattro strati che devono poi risultare interconnessi tra loro avendo infrastrutture e reti alla base della città stessa.

Il primo livello è la base tecnologica, che include una massa critica di smartphones e sensori connessi ad una rete di comunicazione ad alta velocità insieme a portali di open data. È il layer delle, reti delle infrastrutture e delle dotazioni tecnologiche abilitanti per la costruzione di una città smart. In questo ambito rientrano le sperimentazioni 5G, le connessioni Wi-Fi e la banda larga ma anche la sharing mobility e l’ottimizzazione del trasporto pubblico e della distribuzione di energia nonché di una ottimizzazione della gestione di rifiuti e le aree verdi. Informazioni riguardanti aspetti della vita quotidiana messi a disposizione di coloro che ne hanno bisogno.

Il secondo livello riguarda la sensoristica e l’IoT per le small city. Questo secondo layer include le reti di sensori ed i dispositivi IoT necessari per raccogliere e analizzare i big data delle città riguardanti l’ambiente quali aria e l’acqua, il comportamento degli utenti e lo stato delle infrastrutture in modo da poter attivare una gestione e manutenzione da remoto. I sensori possono, ad esempio, rilevare la sicurezza degli edifici e gli smart metering possono essere integrati nell’illuminazione pubblica LED e agire per il controllo ambientale per la rete stradale ed il monitoraggio del traffico o della mobilità.

Il terzo layer interessa il service delivery platform. La piattaforma       di fornitura dei servizi deve essere in grado di elaborare e valorizzare i big data del territorio generati dagli altri layers per migliorare i servizi esistenti e crearne di nuovi e deve agire come una specie di centrale operativa.

È anche il layer delle specifiche applicazioni. Tradurre dati non ancora elaborati in avvisi, informazioni, ed azioni richiede gli strumenti giusti e proprio in queste circostanze i fornitori di tecnologia e gli sviluppatori di applicazioni rivestono un ruolo principale. Forse, il modo migliore per capire al meglio il significato di una città smart è guardare alla completa e vasta disponibilità di applicazioni esistenti.

Il quarto layer, l’ultimo, riguarda la creazione di servizi a valore aggiunto per il tramite di applicativi mobili e web e l’uso pubblico. Punto di contatto con gli utenti finali in questa sfera rientrano tutti gli aspetti legati a sanità, turismo, mobilità e governance che devono innestarsi ed integrarsi con gli altri livelli. Molte applicazioni sono e saranno di successo solamente se largamente adottate ed in grado di cambiare o modificare comportamenti individuali. Molte delle applicazioni stesse mettono gli utenti in posizioni di comando dando loro informazioni più trasparenti affinché possano fare scelte migliori.

Il percorso verso la costruzione di una città smart deve essere finalizzato a creare una singola infrastruttura di base ed un’unica piattaforma di fornitura di servizi in grado di elaborare le informazioni creando valore aggiunto per i cittadini e contribuendo a migliorarne la qualità della vita.

È pur vero che un buon management è centrale nelle città smart, ma è anche vero che le amministrazioni non possono fare tutto da sole. Le imprese ed i residenti giocano un ruolo attivo nel definire le prestazioni della città. Molte delle innovazioni delle città smart sono il risultato di iniziative originate dalle industrie del settore privato il quale può provvedere circa il 60-70% dell’investimento iniziale perla creazione degli strumenti attuali.

Si tratta di interventi edili, tecnologici, infrastrutturali, sociali che coinvolgono mondi consolidati e nuovi o, ancor meglio, in fase di start-up: settori con visioni complementari, esigenze differenti e che necessitano di capitali con caratteristiche compatibili.

Occorre, pertanto, approfondire, tra i diversi temi evidenziati – anche per coerenza con l’ELTIF di cui trattiamo – quello delle infrastrutture in Italia. È di tutta evidenza che alcuni degli ambiti di maggior interesse e di impatto in termini di smartness, presuppone una preliminare valutazione dell’adeguatezza del nostro sistema infrastrutturale ed in particolare del sistema degli assi viari (strade e ferrovie), che comprende altresì la rete tecnologica di supporto per tutta una serie di servizi pronti in parallelo o sviluppabili successivamente (tra cui l’evoluzione smart digitale). È altrettanto evidente che il richiamo di capitali, comunitari, pubblici e privati, dipende anche dall’attrattività che il nostro paese è in grado di offrire, in risposta ai diversi profili

di interesse dei potenziali investitori.

Il settore infrastrutturale italiano è considerato un mercato chiave nell’UE per gli investitori istituzionali, trainato principalmente dalle dimensioni dell’economia italiana e dall’attuale gap infrastrutturale. Ad avviso degli investitori, il settore è ancora sottosviluppato rispetto a paesi simili dell’UE. Tale dato è desumibile dalle dimensioni limitate degli investimenti (il 76% degli investitori ha investi to capitali con ticket inferiori a euro 100 milioni) e da una ristretta attenzione degli investitori sui principali segmenti infrastrutturali (come i trasporti e l’energia). Tuttavia, ciò rende il settore attraente in funzione dl consolidamento di segmenti specifici (il 44% degli investitori sta pianificando di perseguire attivamente più accordi nel settore delle infrastrutture italiane nei prossimi 12 mesi rispetto al periodo precedente, mentre un 56% stima di investire comunque in Italia, post emergenza pandemica, ma in settori differenti). Tuttavia, le principali debolezze del settore continuano a identificarsi con l’incertezza politica e normativa e con la complessità e le tempistiche della burocrazia (problematica percepita dal 79% degli investitori), che limita in modo significativo gli investimenti nelle infrastrutture, con particolare riguardo a quelle cd. greenfield.

Nello specifico, quello infrastrutturale è un settore dall’elevato potenziale, se si considera che il divario fra i progetti in cantiere e quelli da realizzare è più ampio rispetto a quello registrato nei principali paesi europei: a fronte di investimenti in infrastrutture per circa euro 130 miliardi l’anno, al 2040 il fabbisogno per soddisfare i reali bisogni del Paese è di circa 373 miliardi di euro. Tali elementi e dati giustificano la disponibilità, da parte degli investitori istituzionali, a impegnare più risorse sul tavolo delle infrastrutture italiane e sono utili per comprendere l’impatto che può verificarsi in termini di accelerazione nella realizzazione di opere che portano con sé, direttamente e indirettamente, effetti positivi sotto il profilo della riqualificazione, del rinnovamento e dello sviluppo della principale componente di supporto (e presupposto) alla contestuale, e ormai indifferibile, evoluzione smart

Per meglio comprendere lo stato del settore infrastrutturale, è utile riportare alcuni dati e passaggi del documento redatto dal Servizio Studi della Camera dei Deputati.

1. Una nuova programmazione attraverso una più stringente selezione delle priorità: confermata e rafforzata l’attenzione per la manutenzione del patrimonio infrastrutturale esistente.

- Il quadro di riferimento del Rapporto prende in considerazione infrastrutture, il cui costo, aggiornato al 31 ottobre 2019, ammonta a 273 miliardi di euro.

- Il costo delle opere monitorate risulta in riduzione di circa 44,210 miliardi (-14%) rispetto al costo complessivo delle opere monitorate al 31 maggio 2018 (317,144 miliardi), ed è il risultato, perseguito in un’ottica di più stringente selezione delle priorità infrastrutturali, dell’azzeramento del costo degli interventi non prioritari in project review o da sottoporre a progetto di fattibilità e non finanziati, dell’aggiornamento del costo delle altre infrastrutture strategiche e prioritarie monitorate al 31 maggio 2018, nonché dei nuovi interventi e programmi individuati con il DEf 2019.

- Circa l’80% dei 273 miliardi di costi esaminati (219 miliardi) riguarda le cosiddette opere prioritarie nelle quali sono comprese infrastrutture strategiche già programmate prima del 2017 (120 miliardi) e nuovi programmi e interventi prioritari individuati con gli allegati ai DEf 2017 e 2019 (99 miliardi). Il restante 20% del costo delle infrastrutture programmate, pari a 53,928 miliardi, è invece riconducibile a opere “non prioritarie” ma inserite nella programmazione delle infrastrutture strategiche.

2. Le risorse disponibili per le opere programmate ammontano a 199 miliardi, di cui 155 miliardi per le opere prioritarie e 44 miliardi per le non prioritarie (risorse alimentate negli ultimi anni anche dal fondo per lo sviluppo e la coesione – FSC). Complessivamente il contributo pubblico rappresenta il 78% e quello privato il restante 22%. Il fabbisogno residuo, necessario per completare le opere programmate, ammonta a 74 miliardi. Per le infrastrutture non prioritarie, invece, si osserva una copertura finanziaria dell’81% corrispondente a un importo di circa 44 miliardi. Il contributo pubblico rappresenta il 64% (28 miliardi) e quello privato il restante 36% (16 miliardi).

3. L’analisi per sistema infrastrutturale evidenzia una prevalenza di ferrovie, strade e autostrade sia in relazione alle opere prioritarie, sia a quelle non prioritarie. In particolare, le ferrovie rappresentano il 48% del costo delle infrastrutture prioritarie, le strade il 56% delle opere non prioritarie.

4. Per le infrastrutture prioritarie il peso del centro-nord è del 44% e quello di sud e isole del 24,5%. Il restante 31,5% riguarda interventi diffusi. Per le opere non prioritarie il peso del centro-nord è del 61% e quello di sud e isole il 36%, mentre gli interventi diffusi pesano il 3%.

Un aspetto di problematicità, secondo quanto emerge dall’analisi del documento di cui sopra, è rappresentato dalle tempistiche. Richiamando uno degli elementi di criticità rilevati dalla survey di EY –    la burocrazia italiana e le tempistiche di processi e procedure – si rileva quanto una programmazione efficiente è elemento essenziale per la buona riuscita del processo. Riferendoci ai tempi di aggiudicazione un progresso c’è stato: dai 486 giorni medi del 2011 si è via via scesi fino a 180 giorni del 2020. I dati confermano inoltre che è aumentato di tre volte il numero delle gare aggiudicate e bandite e che i tempi medi sono stati notevolmente ridotti da 358 giorni a meno di 7 mesi. Proseguendo nell’analisi dei dati, emerge un dato rilevante, ai fini dell’evoluzione del territorio in chiave smart: nel 2020 Rete Ferroviarie Italiana è stata la prima stazione appaltante, con 410 bandi e 13,8 miliardi di euro di importo. Cosa che dovrebbe far ben sperare per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, considerando il carico che grava sulla società della rete ferroviaria. Deve però essere evidenziato che, dietro il boom delle gare, c’è anche la norma del decreto semplificazioni che consente di affidare l’appalto integrato sulla base del progetto di fattibilità tecnico-economica: occorrerà al riguardo verificare se tale positivo effetto potrà essere confermato sulla base dell’evoluzione normativa.

Nello specifico, sono state formulate numerose proposte da parte degli Enti locali per i progetti di rigenerazione urbana, di riqualificazione delle periferie e dei complessi delle case popolari, di realizzazione di nuove unità per il social housing: in tutto sono giunte al Ministero delle Infrastrutture 290 proposte di intervento per una richiesta di finanziamento di 4,5 miliardi. Un successo notevole per un programma che partiva da un finanziamento di 853,81 miliardi stanziato dalla legge di bilancio 2020 e che è andato crescendo via via con le risorse europee del Recovery Plan. Alla crescita delle risorse europee dal piano di gennaio a oggi ha certamente giovato proprio il successo del bando già in corso e la raccolta numerosa dei progetti. Si rileva altresì che rilevante è il numero dei progetti – utili anche per il futuro – che attengono alla rigenerazione urbana, che viene considerata priorità assoluta dal Governo (in opposizione al consumo del suolo).

 

7. Il finanziamento dei progetti smart

Ritorniamo all’ELTIF: come scritto in precedenza, il legislatore europeo ha inteso incoraggiare lo sviluppo di strumenti finanziari pluriennali adeguati a catalizzare gli investimenti pubblici e privati nell’economia reale per incentivare i progetti imprenditoriali di lungo termine nell’Unione. Il ciclo 2020 del semestre europeo in corso[9], ha avuto inizio nel dicembre 2019 con la Comunicazione “Strategia annuale di crescita sostenibile[10].

La Commissione europea vi illustra la propria strategia di crescita, che si articola secondo quattro pilastri:

- sostenibilità ambientale per guidare la transizione verso un continente a impatto climatico zero entro il 2050;

- incrementi di produttività e di innovazione, basati sulle tecnologie digitali e sull’accesso ai dati;

- equità, con la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali;

- stabilità macroeconomica, fondata sull’Unione bancaria e, come richiamato in premessa, sull’unione dei mercati dei capitali.

In argomento, l’Italia ha previsto con la Legge 263/2016 l’inserimento degli indicatori del benessere equo e sostenibile (BES) all’interno dei documenti di programmazione economica del Governo. Per quanto qui rileva, ci si limita a evidenziare che la citata legge 163/2016 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze elabori, per un set ridotto di indicatori BES (in tutto 12) selezionati da un apposito comitato, tra i quali vi sono ricompresi i seguenti indici: emissioni di C02 e di altri gas clima alteranti, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, qualità dei servizi (DEF 2018 e 2019).

Si consideri inoltre che nel contesto del Green Deal europeo, la nuova strategia di crescita dell’UE ha l’ambizione di porre l’Europa quale primo continente a raggiungere l’obiettivo dell’impatto climatico zero entro il 2050[11]. Il Piano di investimenti per un’Europa sostenibile ha l’obiettivo principale di mobilitare, attraverso il bilancio UE e gli strumenti associati, in particolare il Programma InvestEU, investimenti sostenibili privati e pubblici per un valore di 1.000 miliardi di euro nel prossimo decennio.

In particolare, attraverso il Programma InvestEU – che si pone in successione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) si porrebbe l’obiettivo di mobilitare 650 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2021-2027, ancora in fase di negoziazione tra i paesi europei. La Commissione europea ha proposto un obiettivo climatico per InvestEU pari almeno al 30%, che, se confermato, mobiliterebbe circa 195 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati destinati al clima e all’ambiente tra il 2021 e il 2027. Inoltre, si prevede che la Banca europea per gli investimenti aumenti progressivamente la percentuale dei suoi finanziamenti destinata all’azione per il clima e alla sostenibilità ambientale, portandola, entro il 2025, al 50% delle operazioni[12].

Per indirizzare le risorse verso società e progetti imprenditoriali innovativi, ma caratterizzati da bassa liquidità, o addirittura illiquidi nella prospettiva della gestione dei propri rischi, è stato quindi necessario affiancare soluzioni a struttura chiusa, come lo strumento ELTIF: i capitali raccolti potranno, infatti, essere indirizzati a finanziare progetti di medio-lungo periodo di aziende appartenenti a segmenti a bassa capitalizzazione come l’AIM, start-up e imprese ad alto potenziale di innovazione, come quelle più direttamente coinvolte con la transizione smart[13].

Alcuni, forse utili, spunti di natura regolamentare.

Il Regolamento ELTIF individua un diverso regime normativo rispetto a quanto previsto dalla direttiva AIFM (2011/61). Con riguardo al processo autorizzativo, ed avuto riguardo al paese Italia, l’Autorità competente è la Banca d’Italia. L’istanza di autorizzazione dovrà espressamente indicare e contenere (i) il regolamento o i documenti costitutivi del fondo; (ii) le informazioni sull’identità del gestore dell’ELTIF, che deve essere necessariamente un GEFIA debitamente autorizzato alla gestione di questa tipologia di fondi; (iii) le informazioni sull’identità del depositario; (iv) una descrizione delle informazioni da mettere a disposizione degli investitori, inclusa una descrizione dei meccanismi per la gestione dei reclami degli investitori al dettaglio.

Con riguardo agli investimenti previsti in Regolamento, lo strumento ELTIF è tenuto a investire almeno il 70% del proprio capitale in strumenti (equity o quasi-equity) emessi da particolari tipologie imprese ai sensi del Regolamento (le cd. imprese ammissibili), azioni o quote altri ELTIF, EuVECA e EuSEF; attività reali (ad es. infrastrutture sociali, immobili, etc.). Il restante patrimonio dell’ELTIF può essere investito in: valori mobiliari, strumenti del mercato monetario quotati, quote di OICVM, depositi presso enti creditizi. Sono previsti dei limiti di concentrazione per tenere conto delle esigenze di diversificazione del portafoglio investito, così come limiti all’assunzione in prestito di liquidità da parte di detto fondi.

Il Regolamento ELTIF specifica, inoltre, le attività o gli investimenti che sono preclusi (o limitati) al fondo ELTIF.

Coerentemente con i diversi, ma convergenti, obiettivi e finalità sopra richiamate, il “Decreto Crescita” del 2019 ha introdotto alcune agevolazioni fiscali per gli investimenti nei fondi ELTIF, circostanza che ha riacceso l’interesse dei gestori per tale tipologia di fondi[14].

Peraltro, a dispetto della potenziale rilevanza, l’ELTIF “non è ancora uno strumento ben avviato, non solo in Italia ma anche a livello comunitario[15]

Nel mese di ottobre 2020, la Commissione europea ha posto in pubblica consultazione il documento intitolato “Public consultation on the review of the European long-term investment funds (ELTIF) regulatory framework”, resasi necessariain considerazione della scarsa adozione di questa tipologia fondi, nonostante come scritto si tratti di uno strumento non presente in precedenza, finalizzato a obiettivi coerenti con le attività più ampie allo studio o in corso di adozione da parte della Comunità Europea per convergere su investimenti a lun go termine tradotti nell’economia reale, canalizzando finanziamenti a favore di imprese non quotate, PMI quotate, progetti infrastrutturali e sociali,del Green Deal europeo e del mercato unico digitale.

La revisione del Regolamento ELTIF è uno dei punti del piano d’azione (action plan) per rilanciare il progetto dell’Unione dei mercati dei capitali (capital markets union, o Cmu), presentato da Bruxelles il 24 settembre scorso: come scritto in precedenza, la Commissione ritiene opportuno rivedere il quadro legislativo per facilitarne l’adozione e per tale via canalizzare maggiori finanziamenti, anche provenienti da investitori al dettaglio, verso le piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura produttiva dell’Unione. Il progetto presentato dalla Cmu contiene alcune raccomandazioni specifiche agendo principalmente su due fronti: l’ampliamento del- le attività ammissibili e la diminuzione dei potenziali ostacoli agli investimenti da parte degli investitori, con un focus sugli investitori al dettaglio, ma includendo anche gli istituzionali[16]. Sulla base delle risposte ricevute in sede di consultazione, la Commissione adotterà una proposta di revisione del Regolamento ELTIF da completarsi entro il terzo trimestre del 2021.

In termini di sintesi, si possono così riassumere i principali punti sottoposti a consultazione:

• l’adeguatezza della portata dell’autorizzazione ELTIF e le condizioni di esercizio, nonché la necessità di migliorare l’uso del passaporto ELTIF;

• l’ambito di investimento e le attività ammissibili;

• le regole di composizione e diversificazione del portafoglio;

• la revisione di alcune definizioni relative all’universo degli investimenti degli ELTIF per garantire maggior chiarezza (es. a lungo termine, capitale, beneficio sociale, politiche energetiche, sostenibile, investimenti speculativi);

• l’adeguatezza delle disposizioni relative agli investimenti in paesi terzi;

• tipologie di investitori e protezione efficace;

• conflitti di interesse;

• indebitamento di cassa e leva finanziaria;

redemption rules e vita degli ELTIF;

• strategie di marketing e distribuzione al fine di individuare i principali limiti riducono l’attrattiva dei fondi ELTIF e la loro commercializzazione e distribuzione transfrontaliera[17].

La consultazione terrà conto anche delle consultazioni parallele e/o dei processi di revisione di altri quadri normativi, come quello dell’AIFMD e della MiFID 2 e MiFIR[18].

Alla luce di quanto sopra, per gli ELTIF l’anno in corso potrebbe rappresentare quello dell’effettivo rilancio. Dal dicembre 2015, data di entrata in vigore del Regolamento ELTIF, sono stati infatti istituiti circa 28 ELTIF, con masse in gestione mediamente inferiori a due miliardi di euro[19], numeri che non rispondono alle aspettative poste sullo strumento in termini di capacità di attrarre capitali per gli ambiti di pertinenza.

Si ritiene peraltro che lo strumento, una volta trovato il giusto assetto ed equilibrio, possa attrarre e canalizzare investimenti e investitori nell’economia reale, in ambiti e perimetri ancora oggi confermati di assoluta priorità e necessità, confluenti con gli interessi a livello comunitario e, anche, oltre i confini. L’auspicio è che le modifiche conseguenti alla consultazione conclusasi nel corso dell’anno 2020 possa risolvere le problematiche di funzionamento dello strumento, sulla base dell’esperienza maturata in questi primi anni di operatività[20].

Gli ambiti di possibile miglioramento suggeriti in generale, e da parte di operatori in forma associata, si riferiscono[21]all’introduzione di misure di stimolo agli investimenti indiretti nelle attività che rientrano nel perimetro di azione di questi fondi, attraverso l’estensione della possibilità dell’ELTIF di investire in altri fondi di investimento alternativi (FIA), alla possibilità per la società di gestione del risparmio di istituire fondi di fondi, rimuovendo la limitazione della possibilità di investire in altri FIA, all’opportunità di innalzare il limite dell’investimento del capitale in quote o azioni di un singolo FIA dal 10% al 20%, oltre che consentire agli ELTIF di investire in cartolarizzazioni di attività di investimento ammissibili, al miglioramento delle strategie di investimento degli ELTIF, ad una maggiore flessibilità nelle politiche di rimborso dello strumento, alla semplificazione dell’informativa nei confronti degli investitori e di uniformità nelle fasi di distribuzione con altre normative vigenti.

Se l’intento della politica europea è quello di intervenire con urgenza negli ambiti della sostenibilità in senso lato, la prossima sfida sarà quella di integrare i capitali, pubblici e privati, veicolando ad esempio nello strumento ELTIF, con i dovuti miglioramenti, i mezzi necessari per supportare le iniziative immobiliari/infrastrutturali che abbisognano di ingenti investimenti con ritorni nel lungo periodo.

Se l’intento delle singole politiche nazionali e degli operatori privati è quello di adottare scelte coerenti con gli obiettivi comunitari negli ambiti della sostenibilità in senso lato, la prossima sfida sarà quella di integrare le città, e le strutture esistenti sul territorio, con le nuove infrastrutture e le tecnologie sfruttando l’interoperabilità tra sistemi: la governance delle città smart dovrà imparare ad operare in modo coerente con questa impostazione.

Se l’intento della politica industriale dell’intermediazione finanziaria è quello di generare e sollecitare investimenti a sostegno dell’economia reale di minore dimensione[22], la prossima sfida sarà quella di integrare i capitali, pubblici e privati, veicolando ad esempio nello strumento ELTIF, con i dovuti miglioramenti, i mezzi necessari per supportare le iniziative innovative funzionali allo sviluppo ed evoluzione connessi con le citta smart ei richiamati principi ESG[23]

 

 

 

 


 

[1] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 2 dicembre 2015.

[2] Smart Cities. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento. Report Monografico di Cassa Depositi e Prestiti.

[3] Si stima che il fabbisogno complessivo totale di investimenti infrastrutturali nell’UE fino al 2020 potrebbe raggiungere i 2000 miliardi di EUR (Cfr. il documento di lavoro della BEI 2013/02, Private Infrastructure Finance and Investment in Europe).

[4]Questa nuova frontiera trova nella Smart City uno spazio concettuale (e concreto) per l’elaborazione delle nuove politiche pubbliche per le città. Politiche caratterizzate da un forte contenuto tecnologico e dall’utilizzo su larga scala dell’ingegneria finanziaria. Inoltre, la creazione di nuovi circuiti di intermediazione del risparmio per il finanziamento di infrastrutture materiali ed immateriali, dei beni sociali e dei beni comuni, sono da qualche anno nell’agenda dei policy maker. La sfida, come vedremo, è la creazione di nuovi modelli di finanziamento delle infrastrutture e dei beni pubblici attraverso un utilizzo più esteso del risparmio istituzionale di lungo periodo (fondi pensione, assicurazioni, fondi sovrani, banche multilaterali, regionali e nazionali di sviluppo), che gode di crescente attenzione nell’ambito delle politiche pubbliche europee (e non solo)”. Smart Cities. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento. Report Monografico di Cassa Depositi e Prestiti.

[5] V. Gamberale, S. Gatti, Un nuovo paradigma (e capitali privati) per le infra strutture. Le sfide del dopo pandemia, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2021.

[6] cfr. il documento di lavoro della BEI 2013/02, Private Infrastructure Finance and Investment in Europe.

[7] ADN Kronos: indagine EY-Swg, 8 aprile 2021

[8] A mantenere l’appeal sul settore real estate saranno ancora i bassi tassi di interesse, come ha indicato l’economista Victor Constancio, vice-presidente della BCE con Mario Draghi, ma anche le prospettive di riscoperta degli immobili in termini qualitativi: sostenibilità e digitale cambieranno il volto a edifici, quartieri e intere città. Articolo de Il Sole 24Ore, 20 maggio 2021, Paolo Dezza.

[9] Relazione Sig. Dobrowsky al Senato della Repubblica nell’anno 2020

[10] Vedi Comunità Europea, Com. 2019/650. Inoltre, L’intero semestre europeo – preannuncia la Comunicazione – verrà negli anni a venire riorientato in modo da perseguire tali obiettivi. Il riorientamento è già riscontrabile nella raccomandazione sulla politica economica della zona euro (Com. 2019/652), presentata anch’essa il 7 dicembre 2019: quest’ultima è caratterizzata da una maggiore attenzione alle sfide di lungo periodo quali il cambiamento climatico, la composizione demografica dell’UE e la trasformazione tecnologica.

[11] Si veda il Piano di investimenti per un’Europa sostenibile (Com. 2014/21).

[12] Piano di Investimenti per l’Europa (cd. Piano Juncker), 2019.

[13]G. G. Santorsola, Eltif: opportunità e rischi dei nuovi fondi europei, accessibile all’indirizzo fchub.it/eltif-opportunita-e-rischi-dei-nuovi-fondi-europei 

[14]Le agevolazioni fiscali proposte – secondo il testo finale della legge di con- versione approvata dal Senato il 27 giugno u.s. – riguarderebbero soltanto gli ELTIF che investono in misura rilevante in Italia (per limitare i benefici fiscali a strutture d’investimento che canalizzano risorse verso l’economia reale italiana). In estrema sintesi, in caso di definitiva approvazione di questa nuova disciplina, le fisiche residenti in Italia – nel rispetto di limiti massimi d’investimento e di un holding period minimo di cinque anni – potrebbero fruire, a partire dal 2020, con riguardo alle somme investite in azioni o quote di questi ELTIF, di (a) un’esenzione sui redditi di natura finanziaria successivamente realizzati, nonché di (b) un’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni (Legance, Newsletter del luglio 2019).

[15] Intervento del Responsabile dell’Ufficio Vigilanza SGR e OICR della Consob Andrea Turi nel corso della conferenza digitale “Eltif e imprese non quotate – Il risparmioprivato a sostegnodell’economia reale”, eventovirtuale organizzato da AIFI.

[16] E. Montesano, Dalla revisione Eltif opportunità per le pmi, accessibile all’indirizzo www.focusrisparmio.com/news/opportunita-revisione-eltif-fondi-chiusi-europei-investimenti-risparmio-cosa-sono-come-funzionano.

[17] Si veda al riguardo: www.eddystone.it/2020/11/05/in-consultazione-la-revisione-del-regolamento-eltif/

[18] AIFMD: alternative investmenr fund manages directive; MIFID: markets in financial Instruments directive; MIFIR: markets in financial instruments regulation.

[19] Efama risponde alla consultazione lanciata dalla Commissione europea per rivedere il quadro normativo dei fondi di investimento europei a lungo termine, di Paola Sacerdote (28 gennaio 2021)

[20] Si tratta certamente di strumento complesso e rischioso, che presuppone investitori qualificati disposti a tenere un investimento con una durata anche superiore ai 10 anni, a fronte a rendimenti più alti o agevolazioni fiscali.

[21] Assogestioni.

[22] G. G. Santorsola, cit.

[23] Nell’anno 2019, record degli investimenti corporate in Italia, si era raggiunto un valore di euro 12,3 miliardi, rispetto agli euro 8,8 miliardi del 2018 ed euro 11,2 miliardi del 2017. In conseguenza della pandemia, nel 2020 gli investimenti corporate in Italia si sono fermati a euro 8,8 miliardi. Le previsioni per il triennio 2021-2023 prevedono investimenti corporate per euro 9,5 miliardi nel primo anno per arrivare a euro 11,3 miliardi nel terzo anno di periodo. Stima di Nomisma 2020 sulla base dei dati BNP Paribas Real Estate, Colliers e CBRE Data.

 

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